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Gli Enti Non Commerciali (ed ETS) sono tenuti per legge ad operare una separazione fra eventi istituzionali e commerciali. Per realizzare questa separazione è possibile tenere materialmente separate le contabilità (con libri contabili distinti) oppure tenere la contabilità in modo peculiare, evidenziando specifici sottoconti relativi all’ambito commerciale all’interno del sistema contabile nel suo complesso.

L’adozione di un criterio invece che un altro implica risvolti differenti.

Valori promiscui

Connesso alla scelta del metodo di rilevazione contabile adottato (contabilità distinta o contabilità unica con conti separati) è il problema delle spese relative indistintamente all’attività commerciale e a quella istituzionale, ossia dei cosiddetti “costi promiscui” (per esempio utenze, materiali di consumo, ecc.) utilizzati nello svolgimento dell’una e dell’altra attività. Per questo tipo di spese, sempre per garantire la più completa separazione tra le gestioni, è stato previsto uno specifico criterio, recepito nel TUIR, ma anche nel D.lgs. n.446 del 1997 (il cosiddetto “Decreto IRAP”), che impone agli enti di ripartire i costi promiscui secondo la proporzione tra entrate commerciali ed entrate complessive dell’ente.

Ai fini della corretta applicazione è consigliabile procedere a rilevare tutti i costi promiscui nell’ambito dell’attività commerciale e determinare, a fine anno, la componente indeducibile.

Riguardo l’IRES, articolo 144 comma 4 TUIR recita che “Le spese e gli altri componenti negativi relativi a beni e servizi adibiti promiscuamente all’esercizio di attività commerciali e di altre attività, sono deducibili per la parte del loro importo che corrisponde al rapporto tra l’ammontare dei ricavi e altri proventi che concorrono a formare il reddito d’impresa e l’ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi; per gli immobili utilizzati promiscuamente è deducibile la rendita catastale o il canone di locazione anche finanziaria per la parte del loro ammontare che corrisponde al predetto rapporto”.

Ancora, per l’IRAP, l’articolo 10 comma 2 del D.lgs. n.446 del 1997 dice che “Se i soggetti di cui al comma 1 esercitano anche attività commerciali la base imponibile a queste relativa è determinata secondo la disposizione dell’articolo 5, computando i costi deducibili ivi indicati non specificamente riferibili alle attività commerciali per un importo corrispondente al rapporto tra l’ammontare dei ricavi e degli altri proventi considerati dalle predette disposizioni e l’ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi. La base imponibile relativa alle altre attività è determinata a norma del precedente comma 1, ma l’ammontare degli emolumenti ivi indicati è ridotto dell’importo di essi specificamente riferibile alle attività commerciali. Qualora gli emolumenti non siano specificamente riferibili alle attività commerciali, l’ammontare degli stessi è ridotto di un importo imputabile alle attività commerciali in base al rapporto indicato nel primo periodo del presente comma.”.

In sintesi, quindi, per valori negativi adibiti promiscuamente all’esercizio di attività commerciali e non commerciali, ai sensi del TUIR la percentuale di deducibilità dei costi è determinata sulla base del rapporto tra l’ammontare dei ricavi e degli altri proventi aventi natura commerciale e l’ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi. Nel caso dell’IRAP, al numeratore va messa la quota non commerciale.

La logica sottesa è collegata al principio dell’inerenza: a fronte di un costo avente una parte connessa con l’attività non commerciale (e quindi indeducibile) ed una parte connessa all’attività commerciale (e quindi deducibile) deve essere sottratta la parte “non inerente”. Se il valore non è direttamente identificabile perché avente un impiego promiscuo, il valore totale deve essere ridotto della parte non inerente in modo “forfettario”: da cui l’individuazione di una percentuale espressione del rapporto tra queste due tipologie.

Un punto fondamentale riguarda il differente trattamento riservato ai costi ed ai ricavi di natura promiscua. Infatti, è evidente come, in virtù proprio dell’essenza stessa degli enti, la “promiscuità” riguardi principalmente i costi. Tuttavia, non è inusuale che vi siano dei ricavi aventi natura promiscua, si pensi ad esempio alle plusvalenze originate dalla cessione di un cespite che l’ente impiegava per attività promiscua. In questo la norma non si esprime. Stante il silenzio della norma un approccio corretto può essere quello di includere i ricavi promiscui nel valore totale all’interno dei modelli fiscali (redditi ed IRAP).

Nel caso in cui i dipendenti di un ente non commerciale misto siano promiscuamente impiegati sia nell’attività istituzionale che in quella commerciale, l’importo delle deduzioni spettanti ai sensi dell’articolo 11 del D.lgs. n.446 del 1997 va ridotto dell’importo forfettariamente imputabile all’attività istituzionale, determinato in base al rapporto tra ricavi istituzionali rilevanti IRAP e ricavi complessivi.

La ratio risiede nel metodo stesso di calcolo dell’IRAP per la parte istituzionale, cioè il “metodo retributivo”: le deduzioni sostanzialmente “annullerebbero” parte della base imponibile, per cui l’importo di queste deduzioni deve essere emendato della parte che in linea teorica sarebbe attribuibile all’area non commerciale.

Per la parte non commerciale rimangono tuttavia in piedi le deduzioni di cui:

  • all’articolo 11, comma 1 lettera a) n.5;
  • all’articolo 11, comma 4-bis.

Per quanto riguarda i soggetti con attività commerciale con opzione per il regime di cui alla legge 398/1991, è necessario fare attenzione a quali deduzioni è possibile accedere. Infatti, non spetta la deduzione di cui al comma 4-octies del D.lgs. n.446 del 1997, perché specificatamente riferita ai soggetti che determinano il valore della produzione in base all’art. 5, mentre quelli di cui alla legge 398 del 1991 applicano il comma 2 dell’art. 17

Dott. Stefano G.

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