Parere n. 6 deliberato il 26 gennaio 2007
L’acquisto di espositori mono marchio è un costo gestionale
La valutazione delle spese cambia se non sussiste relazione immediata e diretta con i ricavi
I costi sostenuti da una società distributrice di orologi e gioielli per la fornitura alla propria rete commerciale di espositori monomarchio utilizzati per conferire maggiore visibilità alla merce ivi esposta sono da considerarsi spese di gestione laddove gli espositori costituiscano strumento d’ausilio al venditore e siano diretti a massimizzare gli obiettivi di vendita.
E’ questo, in sintesi, il dispositivo del parere N. 6/2007 deliberato dal Comitato consultivo per l’applicazione delle norme antielusive in risposta a un interpello formulato ai sensi dell’articolo 21 della legge n. 413 del 30 dicembre 1991 in merito alla qualificazione delle spese sostenute per l’acquisto di espositori da consegnare gratuitamente ai clienti dettaglianti affinché siano utilizzati nel punto vendita per l’esposizione del prodotto.
La qualificazione contenuta nel parere, apparentemente dogmatica, è sostanzialmente fedele ai canoni interpretativi consolidati nel tempo. La fattispecie presenta evidenti analogie con altre oggetto di valutazione da parte del Comitato e beneficia senza dubbio di una analisi articolata anche grazie alla estrema scrupolosità con la quale il contribuente offre la propria soluzione interpretativa.
L’interpellante riferisce di far parte di un gruppo statunitense e di operare nel settore della commercializzazione e distribuzione di orologi e gioielleria prevalentemente a dettaglianti presenti nel mercato italiano (negozi di orologi, gioiellerie, grandi magazzini). Nell’istanza viene, in particolare, precisato che i marchi distribuiti dalla società sono internazionali e che la allocazione dei prodotti avviene ricorrendo a strumenti pubblicitari e a tecniche di merchandising, pianificate a livello di gruppo o imposte dai marchi licenziatari, in relazione ai diversi mercati e prodotti.
Dal momento che, secondo quanto asserito dalla società, l’andamento delle vendite dipende non solo dall’abilità di vendita dei rivenditori al pubblico e dalla corretta scelta degli stessi da parte della struttura commerciale ma anche dalle modalità con le quali viene, dai negozianti, proposto ed esposto il prodotto al pubblico affinché lo stesso sia ben identificabile dal potenziale acquirente, l’istante consegna ai propri clienti, in aggiunta al prodotto da questi acquistato, e senza alcun addebito immediato, gli espositori da collocare nei punti vendita di loro appartenenza. Gli espositori sono dei visual displays o product displays e hanno lo scopo di incrementare quello che in termini gergali viene comunemente definito come sell out ovvero la vendita del prodotto al pubblico da parte del negoziante. Precisa in proposito l’istante che l’espositore è utilizzabile solo per vendere la merce dello specifico marchio che lo contraddistingue, che viene consegnato al cliente successivamente all’ordine e alla consegna della merce, che non viene addebitato e non vi è obbligo di restituzione.
Alla luce di quanto premesso, l’istante è dell’’avviso che le spese, sostenute per l’acquisto degli espositori medesimi da consegnare gratuitamente ai clienti dettaglianti, possano essere inquadrate tra quelle di pubblicità, di cui all’articolo 108, comma 2, del Tuir, in quanto:
- la consegna avviene solo a clienti e solo a seguito di specifici ordini di acquisto
- esiste un nesso di causalità tra il costo e la produzione del reddito in virtù della correlazione tra costo di acquisto e benefici derivanti dalla consegna degli stessi da parte dei rivenditori
- il messaggio promozionale è rivolto in generale al consumatore finale al fine di sostenere il marchio e aumentare le vendite e non ad una ristretta categoria di soggetti
- la consegna degli espositori ai clienti è una scelta di visual merchandising affinché la merce sia esposta in appositi spazi e sia immediatamente distinguibile da altri marchi e prodotti di orologeria e gioielleria
- gli espositori hanno caratteristiche stilistiche tali da poter essere utilizzati solamente per l’esposizione della merce distribuita con il determinato marchio che li contraddistingue.
Il quesito che forma oggetto del parere che si commenta ripropone il tema della qualificazione delle spese di pubblicità e propaganda e spese di rappresentanza che costituiscono due tipologie di oneri aziendali soggetti a trattamento fiscale differenziato.
Ai sensi dell’articolo 108, comma 2, del Tuir, infatti, “le spese di pubblicità e di propaganda sono deducibili nell’esercizio in cui sono state sostenute o in quote costanti nell’esercizio stesso e nei quattro successivi. Le spese di rappresentanza sono ammesse in deduzione nella misura di un terzo del loro ammontare e sono deducibili per quote costanti nell’esercizio in cui sono state sostenute e nei quattro successivi”.
Il dibattito sulla qualificazione di un costo tra le spese di pubblicità ovvero tra le spese di rappresentanza impone una preventiva definizione del concetto di inerenza. Sul punto, la tendenza manifestata dall’Amministrazione finanziaria è stata quella di riconoscere l’inerenza non solo in relazione ai costi direttamente legati ai ricavi dell’impresa bensì più in generale all’attività di quest’ultima, qualificando l’inerenza non meramente in base al più restrittivo requisito della necessarietà ma al più ampio requisito per l’utilità dell’attività. L’Amministrazione finanziaria ha riconosciuto l’inerenza a ogni onere sostenuto nell’interesse dell’attività dell’impresa, nella prospettiva di fornirle una qualche utilità anche se soltanto in via mediata e indiretta, ammettendo la deducibilità anche di costi e oneri in proiezione futura, quali le spese ai fini promozionali e, comunque, quelle dalle quali possono derivare ricavi in successione di tempo. Viceversa, rientrano tra le spese non inerenti quelle motivate da finalità extra aziendali, quelle sopportate nell’interesse dell’imprenditore, dei suoi familiari o di terzi ovvero, nel caso di società, nell’interesse dei soci o degli amministratori.
Il Comitato ritiene che nel caso di specie le spese prospettate siano da qualificare come spese gestionali. Secondo, infatti, il proprio consolidato orientamento – e fondante in proposito può ritenersi utile il richiamo ai pareri n. 21/98, n. 24/99, n. 1/2001, n. 11/2003, n. 19/2004 – quando il ricavo si connette direttamente all’assunzione di una spesa e questa possa reputarsi, nel contempo, strumentale alla massimizzazione del fatturato di chi la sostiene, lo stringente legame causale tipizza il costo in guisa che esso debba essere necessariamente sottratto alla qualificazione come spesa di pubblicità ovvero di rappresentanza ex articolo 108, comma 2, del Tuir (che delimitano l’ambito applicativo dell’interpello antielusivo e, dunque, la legittimazione del Comitato a pronunciarsi) in quanto ascrivibile alla nozione di costo gestionale di cui all’articolo 109, comma 5, del Tuir. Tale conclusione non preclude la possibilità della diversa valutazione delle medesime spese qualora non sussistesse la appena enunciata relazione immediata e diretta con i ricavi tipica dei costi gestionali.
Articolo aggiornato al 03/10/2007