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Episodio 87 – Imposta sulle donazioni
L’imposta sulle donazioni è l’imposta che il beneficiario è tenuto a pagare, nel momento che riceve un bene mediante atto di donazione. Sono previste aliquote diverse a seconda del rapporto di parentela intercorrente tra il soggetto del donante e del donatario. Inoltre, sono previste anche eventuali franchigie che rendono tassabili le donazioni per la parte eccedente il loro valore. L’atto di donazione deve essere redatto da un notaio, che provvede anche alla registrazione e al versamento delle relative imposte.
Cos’è una donazione?
La donazione è una sorta di anticipazione della disposizione testamentaria, dove il titolare del patrimonio intenda disporne per il futuro anticipandone gli effetti ad un momento anteriore all’apertura della successione. La donazione si caratterizza per lo spirito di liberalità, la cui definizione campeggia nella definizione dell’art. 799c.c., contratto con il quale per spirito di liberalità una parte arricchisce l’altra assumendo un’obbligazione o attribuendo un bene.
Imposta sulle donazioni: le aliquote
L’imposta sulle donazioni è determinata sulla base sia del valore della cosa donata che il grado di parentela.
i criteri di calcolo sono:
Ulteriori esenzioni
Oltre ai limiti imposti dalla franchigia, ci sono anche ulteriori esenzioni all’imposta sulle donazioni, e sono:
- a favore dello Stato, delle regioni, delle province e dei comuni;
- a favore di enti pubblici e di fondazioni o associazioni legalmente riconosciute, che hanno come scopo esclusivo l’assistenza, lo studio, la ricerca scientifica, l’educazione, l’istruzione o altre finalità di pubblica utilità e alle ONLUS;
- a favore di movimenti e partiti politici.
- le donazioni di veicoli iscritti nel pubblico registro automobilistico, nemmeno se presenti con altri beni o diritti in uno stesso atto di donazione;
- i trasferimenti di aziende familiari (individuali o collettive), a favore dei discendenti o del coniuge nel rispetto di specifici requisiti
- le liberalità indirette, a condizione che siano attuate mediante atti comportanti il trasferimento o la costituzione di diritti immobiliari o il trasferimento di aziende assoggettati all’imposta di registro in misura proporzionale oppure all’IVA nel rispetto delle specifiche regole previste dalla legge.
in caso di donazione di immobili non solo dovrà esser pagata l’imposta sulle donazioni ma il donatario sarà tenuto a pagare anche le imposte catastali e le imposte ipotecarie, in misura equivalente al’1% o 2% . E’ prevista una misura fissa per chi, invece, dichiara di avere i requisiti della prima casa per un valore equivalente a 160 euro.
Mentre, sempre con riferimento alla donazione di immobile, l’imposta sulle donazioni su cui applicare la aliquota, in base a quella prescelta secondo i criteri dell’entità della donazione e del rapporto di parentela, è il valore venale del bene al momento della stipula dell’atto.
La donazione di immobili vincolati, proprio per la particolarità del regime che si applica al bene, è soggetta all’imposta di registro in misura fissa di 200,00 euro e all’imposta ipotecaria del 2% e all’imposta catastale dell’1%, a meno che il donatario non possa godere delle agevolazioni previste per la prima casa; in questo caso, pagherà le imposte ipotecarie e catastali in misura fissa di 200,00 euro ciascuna.
Ascolta l’episodio 87 – Imposta sulle donazioni
Episodio 88 – Nuova causale per i contratti a termine
Dopo la pubblicazione della Legge di conversione del Decreto Sostegni bis, diviene concreta la possibilità per la contrattazione collettiva di prevedere nuove causali da apporre a contratti a tempo determinato.
L’articolo 41-bis del Decreto 25 maggio 2021, n. 73 modifica infatti la disciplina delle causali contenuta nell’articolo 19 del Decreto Legislativo 15 giugno 2015, n. 81.
Infatti, la normativa attualmente vigente stabilisce che le causali sono necessarie per contratti a tempo determinato con durata superiore ai 12 mesi, non eccedente in ogni caso i 24 mesi, ovvero al fine di effettuare il rinnovo di un contratto a termine.
L’apposizione di una causale è altresì richiesta per la proroga del contratto, qualora la durata complessiva del medesimo contratto superi i 12 mesi.
Le casuali che giustificano l’apposizione di un termine superiore ai 12 mesi al contratto, la proroga oltre i 12 mesi di durata ovvero il rinnovo di un contratto a termine sono rappresentate da queste condizioni:
- esigenze temporanee, oggettive ed estranee all’ordinaria attività;
- esigenze di sostituzione di altri lavoratori (sono escluse le sostituzioni di assenze per sciopero);
- esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività ordinaria.
Tuttavia, per effetto della nuova disposizione introdotta con il D.L. n. 73/2021, fino al 30 settembre 2022, risulta possibile stipulare o prorogare un contratto a termine di durata superiore a 12 mesi, non eccedente in ogni caso i 24 mesi di durata ovvero rinnovare un contratto a tempo determinato anche per specifiche esigenze previste dai contratti collettivi.
Ai sensi dell’articolo 51 del D.Lgs. n. 81/2015, per contratti collettivi si intendono i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali (RSA) ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria (RSU).
A fronte di tale nuova normativa, il Legislatore riconosce un ampio potere alla contrattazione collettiva, che risulta ora legittimata ad introdurre ulteriori ipotesi, rispetto a quelle previste dalla Legge, in presenza delle quali è possibile apporre un termine al contratto superiore a 12 mesi.
Restano in ogni caso valide le ulteriori disposizioni in materia di contratti a termine. Pertanto, la durata complessiva del contratto a tempo determinato, anche per effetto di proroghe o rinnovi, intercorso tra le medesime parti e per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale, non potrà superare i 24 mesi (o diversa durata stabilita dal contratto collettivo applicato).
Un ulteriore contratto a termine tra gli stessi soggetti, della durata massima di 12 mesi, può essere stipulato solamente presso la sede territorialmente competente dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro.
La contrattazione collettiva potrà prevedere ulteriori specifiche esigenze anche per la proroga del contratto, oltre i 12 mesi di durata, e il rinnovo di un contratto a tempo determinato. Si ricorda che la proroga del contratto a tempo determinato è ammessa, previo consenso del lavoratore, solamente nel caso in cui la durata iniziale del contratto sia inferiore a 24 mesi e, comunque, per un massimo di 4 volte nell’arco di 24 mesi a prescindere dal numero dei contratti stipulati.
Con riferimento alle “specifiche esigenze previste dai contratti collettivi”, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro con Nota del 14 settembre 2021, n. 1363 precisa che la contrattazione collettiva dovrà individuare ipotesi concrete che giustifichino l’apposizione di un termine al contratto superiore ai 12 mesi, non essendo sufficienti formulazioni generiche che richiedano ulteriori puntualizzazioni nel contratto individuale di lavoro.
La nuova possibilità riconosciuta alla contrattazione collettiva risulta, tuttavia, una misura temporanea perché il termine fissato al 30 settembre 2022 deve essere riferito al primo contratto a termine stipulato tra le parti di durata superiore ai 12 mesi. Tale limite temporale, inoltre, è riferito alla formalizzazione del contratto, il quale potrà in ogni caso superare la data del 30 settembre 2022, fermo restando il limite complessivo dei 24 mesi di durata del contratto.
L’Ispettorato chiarisce poi che sarà invece possibile prorogare o rinnovare i contratti a termine per effetto delle causali previste dalla contrattazione collettiva ai sensi della nuova disposizione introdotta dal Decreto Sostegni bis, anche successivamente al 30 settembre 2022.
è opportuno ricordare che l’apposizione di un termine al contratto non è ammessa nelle ipotesi:
- per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero;
- presso unità produttive nelle quali si è proceduto, nei 6 mesi precedenti, a licenziamenti collettivi che hanno riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro a tempo determinato, salvo che il contratto sia concluso per provvedere alla sostituzione di lavoratori assenti ovvero abbia una durata iniziale non superiore a 3 mesi;
- presso unità produttive nelle quali sono operanti una sospensione del lavoro o una riduzione dell’orario in regime di cassa integrazione guadagni, che interessano lavoratori adibiti alle medesime mansioni cui si riferisce il contratto a tempo determinato;
- da parte di datori di lavoro che non hanno effettuato la valutazione dei rischi nel rispetto della normativa di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori.
Episodio 88 – Nuova causale per i contratti a termine
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